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Piratica Prefazione

Il gelido vento increspava le onde. Immerso nel buio, Spurio lo percepiva, accidenti se lo percepiva. La forte tramontana gli tagliava il viso e faceva fluttuare le gocce d'acqua fino alla sua postazione. Ancora non pioveva, ma il rumore dei tuoni in lontananza non prometteva nulla di buono. I turni notturni di vedetta erano i meno preferiti dell’equipaggio, specie nelle notti di tempesta come quella in cui la visibilità era ridotta e il freddo gelava le ossa. “Gli Dei non ci accompagnano stasera” pensò la vedetta mentre mangiucchiava la sua scodella di plus. Era un tipo molto devoto agli Dei, Spurio. Aveva insistito affinché sua figlia diventasse una Vestale ed aveva convinto sua moglie a sacrificare a Giove ben cinque dei dieci cuccioli che la sua scrofa più grande aveva partorito. Tutto per il buon esito di quel viaggio. Spurio era consapevole dell'importanza di quella traversata. Il compito era semplice ma di vitale importanza: caricare quanto più grano possibile dall’Egitto. Le distribuzioni di cerali alla plebe avevano aumentato a dismisura la popolazione dell’Urbe ed ora molte più persone facevano affidamento sull’equipaggio. In realtà gli Dei erano stati accomodati, almeno per il viaggio d'andata. Il mare era una tavola quando la Suavitas, una delle granarie più grandi di cui Roma disponeva, era partita da Ostia e il vento favorevole rese il Mediterraneo più breve di quanto Spurio ricordasse. L'approdo in Egitto lo lasciò a metà tra l’interdetto e il divertito. Gli aristocratici d'Egitto erano bizzarri individui: uomini vestiti da donna e donne vestite quasi per niente. Di certo quella visione, specie agli occhi di un romano cresciuto nel rigore della coorte, non potevano che suscitare la stessa sensazione che probabilmente prova il cuculo quando il suo uovo si schiude in un nido estraneo: Spurio sapeva che, in quanto romano, era in cima alla piramide gerarchica di quello strano regno, tuttavia non riusciva proprio a sentirsi a suo agio nonostante le riverenze ostentate di chi li aveva accolti al porto di Alessandria.

Il soggiorno in terra straniera era durato diciotto giorni ma Spurio non aveva mai lasciato il porto. Le sue giornate erano trascorse nell’osservare la stanchezza dei pescatori di ritorno dalle loro battute e le tecniche di seduzione delle prostitute intente ad accaparrarsi quanti più clienti possibili. Senza dubbio le prede preferite dalle meretrici d’Egitto erano i soldati romani che accompagnavano gli ufficiali. Più volte qualcuna di loro l’aveva notato ed aveva provato ad avvicinarlo ma con scarsi risultati. Il rigore era parte della vita di Spurio, non solo quando era in servizio. Era stato promesso in sposa ad Alba quando aveva quindici anni. Grazie a quel matrimonio e qualche centinaia di sesterzi, suo padre era riuscito ad ottenere per lui la possibilità di intraprendere una carriera militare. Vide la giovane Alba per la prima volta il giorno stesso delle nozze. Ricordava benissimo di aver pensato che fosse solo una bambina, nonostante la madre sostenesse che fosse una donna a tutti gli effetti. Ricordava anche ciò che aveva provato nel dare a quella ragazzina il bacio di religione, ne ricordava il profumo dolce, come quello delle viole appena sbocciate, e la morbidezza dalle rosse labbra. Da quel bacio in poi la sua mente riuscì a memorizzare solo qualche frammento della giornata che trascorse: applausi, sorrisi, vino, gli occhi azzurri e grandi di sua moglie. Aveva pensato: “Quante probabilità c’erano che un matrimonio combinato mi fosse così gradito? Sono un uomo fortunato!”. Furono proprio quegli occhi a penetrargli l’anima. Alba era l’unica donna della sua vita. In quindici anni di matrimonio non aveva quasi più parlato ad una donna che non facesse parte della sua famiglia. Il lavoro lo portava spesso lontano da suo talamo ma dalla loro unione nacquero Silvia, Spurio, l’omonimo primo maschio e Cassio, il più piccolo. Aveva preso per loro un tutore che li allenasse nel combattimento e alla disciplina durante la sua assenza. Voleva che i figli diventassero dei buoni soldati, sognava che un giorno il suo nome fosse tra quello dei membri del senato, in realtà si sarebbe accontentato anche di una magistratura minore. Rimpiangeva di non aver visitato nemmeno un luogo di quella terra d'oro ma il senso del dovere era più forte: la nave andava sorvegliata e lui faceva parte della squadra cui era affidato quel compito. Erano gli ordini e gli ordini non si discutono, nemmeno quando la ragione lo impone. Ricordava benissimo le parole dette al Generale Claudio al momento della partenza dall’Egitto: “Il cielo è oscuro, Generale. Gli Dei sono furiosi. Non sarebbe meglio aspettare che ritrovino la loro quiete?”. Sembrò che quelle parole non sfiorassero nemmeno le orecchie del generale della flotta, probabilmente il suo grado lo faceva sentire come se fosse tanto in alto da non sentire le voci di chi era a terra. Ed ora si ritrovava immerso in una turbolenta oscurità.

La pioggia iniziò a battere e lo destò dai suoi pensieri. “Perfetto, ora non riesco a vedere oltre il mio naso” pensò preoccupato. L'acqua aveva reso immangiabile la sua cena e con un gesto di stizza la lanciò nel nero mare. Forse la stizza fu troppa, fatto sta che Spurio perse l’equilibrio e si ritrovò carponi sul ligneo pavimento del punto di osservazione. Dopo aver imprecato, si alzò. Nel farlo rivolse il suo sguardo a poppa. Inizialmente vide delle luci in lontananza. Guardò più attentamente e un brivido gli attraversò la spina dorsale. Non ebbe nemmeno il tempo di gridare “Pirati!” che una freccia lo colpì sulla tempia destra, dissolvendo i suoi pensieri e lasciando il suo corpo inanimato sul pavimento, ormai impregnato di sangue, della Suavitas.


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