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Le vergini di sangue. Capitolo 1

“Cittadini, amici, fratelli! Molti di voi guardano con odio me e la mia gente, molti di voi vorrebbero la mia testa infilzata su una picca. Ma io vi chiedo: per quale motivo nutrite questo risentimento nei miei confronti? La mia gente ha conquistato questa terra con il sangue e con il ferro, in molti sono morti e in molti dovranno ancora morire. Ma voi potete salvarvi, amici cari! Non siete voi il nostro nemico.” La voce di Totila si fece più decisa. “Noi combattiamo contro chi per anni, senza scrupoli, ha mangiato i frutti del vostro lavoro. Noi vogliamo liberarvi da chi, con arroganza ha riso delle vostre fatiche e vi ha sempre considerati inferiori, indegni, alla stregua di schiavi. La corte di Bisanzio non ha avuto ripensamenti a portare via i vostri mariti e i vostri figli dalle loro case e dai loro campi. Non ha esitato a lasciare che i vostri vigneti marcissero e il vostro grano appassisse e come se non bastasse, ha rubato tutto quello che di buono vi era rimasto. Io sono qui per dire basta a tutto questo. Voi meritate una vita migliore, un’esistenza libera da soprusi!” Il generale goto fece una pausa, strinse i pugni ed incalzò: “Disertare il vile Giustiniano ed i suoi generali: questa è la via! Giratemi fedeltà ed io prometto solennemente, sulle sacre scritture, che continuerete ad abitare queste terre, stavolta, però, da padroni!” La folla accolse le parole del generale Totila con enorme entusiasmo. Agli occhi dei poveri contadini della campagna del riminese gli aggressori erano divenuti liberatori. Il generale Ostrogoto scese dal pulpito, montò in sella al suo imponente stallone nero e lasciò il villaggio tra applausi e grida di acclamazione. I suoi soldati lo seguirono. Ognuno di loro lo guardava con enorme devozione. Per loro Totila non era un semplice generale. Era considerato un vero e proprio re.

“Finalmente il vento sta cambiando, figlia mia!” I verdi occhi, vecchi e stanchi, di Letizia brillavano nel pronunciare quelle parole. Era da tanto che Emilia non vedeva quella luce negli occhi della madre. Le rispose con un sorriso e si avviò al mercato. Camminare per il villaggio dava sempre una sensazione appagante alla giovane donna. Al suo passaggio gli occhi venivano attratti su di lei come da un magnete: le caviglie sottili e le gambe slanciate attiravano l’attenzione di tutti gli uomini che incontrava. A mantenere l’attenzione viva ci pensavano i capelli di cenere e gli occhi di smeraldo. Era ben voluta da tutti: il bell’aspetto era corredato da un’innata eleganza nei movimenti e da un’affabilità che era in grado di sciogliere anche il più duro tra i cuori. Quella mattina la ragazza doveva recarsi da alcuni mercanti. Letizia aveva deciso di festeggiare la promessa di libertà di Totila con una cena a base di pollo e patate ed aveva mandato sua figlia a prendere tutto l’occorrente per prepararla. Emilia questa volta non sentiva tutti gli occhi su di sé, nel villaggio non si parlava di altro che del generale ostrogoto.

“Finalmente potrò vendere i miei prodotti in maniera autonoma!” Annunciò con gioia il lattaio. “Siamo liberi dal giogo dei potenti, amici miei, bisogna festeggiare! Oggi tutto a metà prezzo!” Il mugnaio gridò alla folla che accorse al suo banco. Quel giorno vendette tanto pane che la moltitudine di clienti intontì sua figlia Porzia, che quel giorno sembrava più disorientata del solito. Emilia nutriva un sincero affetto per quella ragazza anche se ne riconosceva la poca elasticità mentale. Si fermò ad osservare divertita il modo in cui la poveretta provava a tenere a bada l’onda umana che si era abbattuta sul suo bancone. Dopo qualche minuto fu raggiunta da Silvia, una delle sue amiche più care. La giovane dai capelli corvini la accompagnò a sbrigare le ultime commissioni. Le ragazze si salutarono fuori l’agrumeto che separava le loro abitazioni. Finito il giro, Emilia rincasò. “Non capisco questa gioia immotivata.” Queste furono le parole che accolsero la ragazza al suo rientro. A pronunciarle fu Elia, sua sorella minore. “Saresti capace di rovinare anche il sacro Natale, sorella mia!” Rispose Emilia posando ciò che aveva comprato al mercato sul tavolo di quercia all’entrata della casa. “Mi stupisce che tu non capisca, Emilia. Il solo scopo di Totila è allontanarci dai bizantini così da indebolire il loro esercito. Siamo contadini, non saremo mai uguali a chi possiede le terre che coltiviamo. Finita la guerra torneremo a servire. Stiamo cambiando solo padrone.” La lingua di Elia era particolarmente tagliente quella mattina e le sue parole turbarono Emilia. “Non parlare di queste cose in presenza di nostra madre!” - tuonò la sorella maggiore – “Non credi che aver perso nostro padre e quasi tutti i nostri averi sia stato abbastanza per lei? La speranza non ha mai fatto del male a nessuno.” “L’illusione sì, però!”. Elia uscì di casa sbattendo la porta dietro di lei, nemmeno salutò la madre che rientrava dalla messa. “Cosa è preso a tua sorella, cara? Non avrete mica litigato?” chiese Letizia a sua figlia maggiore. “Tranquilla madre, mia sorella è solo troppo impulsiva, con l’età le passerà.”

Elia aveva visto in tutto sedici primavere, due in meno di sua sorella. Questa, però, non era l’unica differenza che le separava: anche la sorella più piccola era una calamita per i maschi ma lei era solita sfuggire ad ogni genere d’attenzione. Era schiva, riservata e molto spesso arrabbiata. Cercava sempre luoghi solitari per passeggiare e per pensare. Anche nel vestire era diversa da sua sorella: Emilia indossava lunghe vesti colorate, mentre lei, che le considerava scomode oltre ogni dire, preferiva indossare i classici pantaloni da pastore. Quel giorno Elia decise di allungare il suo solito percorso. Il discorso del generale Totila l’aveva innervosita. In realtà non erano state tanto le parole del goto a turbarla, quanto la reazione dei suoi compaesani. Ai suoi occhi sembravano tutti incapaci a prendere una posizione decisa e ben definita. Ogni volta che i rapporti di forza tra i potenti mutavano, i contadini cambiavano padrone. Elia era consapevole che per la maggior parte di loro si trattava di una scelta obbligata ma non riusciva proprio a capire come fosse possibile essere felici di sottomettersi ad un ricatto per giunta imposto da chi ha massacrato la tua gente. Quando si sentiva turbata per qualcosa, la giovane si aggrappava con tutte le sue forze ai ricordi della sua infanzia. Ricordava com’era il suo mondo prima che la guerra iniziasse: i prati in fiore, i campi rigogliosi e, soprattutto, la voce di suo padre. Quanto avrebbe voluto ascoltarla nuovamente. Il sole era alto nel cielo quando Elia decise di sedere all’ombra del faggio solitario che sovrastava la collina oltre la porta orientale del villaggio. La leggera brezza le accarezzava i corti capelli biondi e non passò molto tempo prima che si addormentasse.

Si risvegliò un paio d’ore dopo, zuppa di sudore. Di solito non ricordava i suoi sogni, ma quello le era rimasto impresso a fuoco nella mente. Non riusciva a smettere di tremare, la testa le girava come mai prima d’ora. Si sentiva insicura e paranoica. Percorse a passo svelto la strada di ritorno verso casa, voltandosi indietro ad ogni piè sospinto per essere sicura di non essere seguita. Una volta arrivata, entrò dalla porta senza nemmeno salutare, ignorò l’invito a sedersi a tavola che la madre le aveva posto e corse in camera sua. Chiuse gli occhi ma il suo scopo non era quello di addormentarsi, voleva solamente isolarsi, rifugiarsi nei suoi ricordi più piacevoli. Purtroppo, però, quel sogno continuava a materializzarsi nella sua psiche. Era come se la paura venisse pompata dal cuore insieme al sangue e circolasse nelle vene raggiungendo ogni anfratto del suo corpo.

Non erano passate nemmeno tre ore quando la giovane fu raggiunta da Emilia. “So che non dormi, sorellina. Non ti sento russare.” “Vai via.” Elia sembrava irritata dalle attenzioni della sorella. “Avanti, spiegami cosa ti accade, nostra madre è preoccupata.” “Ti ho detto di andare via!” “E dove dovrei addormentarmi stanotte?” “Allora resta, ma stai zitta!” “Ora sto perdendo la pazienza Elia! Dimmi cosa ti passa per la testa!” La voce di Emilia si era fatta seria. “Non capiresti…” “Mi hai preso forse per la figlia del mugnaio? Come si chiamava? Porzia se non sbaglio. Quella sì che fa fatica a capire quasi ogni cosa! Sono tua sorella, capirti è mio dovere!” La battuta sulla figlia del mugnaio fece scappare un sorriso a Elia che si convinse a parlare. “Una piccola premessa: guai a te se mi prendi in giro!” “Dai, sciocca!” “E va bene, va bene! Hai presente il faggio dove papà ci portava da bambine? Ecco oggi sono stata lì. Volevo stare un po’ da sola, così mi sono sdraiata all’ombra dell’albero e sono caduta in un sonno profondo. Qui viene la parte brutta. Ho sognato che eravamo bambine e stavamo giocando con papà proprio intorno a quel faggio. All’improvviso un uomo nudo con enormi ali nere da uccello è sceso dal cielo e con la sua enorme spada ha troncato di netto la testa a nostro padre per poi avanzare verso il villaggio. Noi eravamo rimaste sole con l’albero e con il corpo esangue di papà quando una vecchia signora, così magra da far sembrare che gli occhi grigi fluttuassero sul suo viso, ci prendeva per mano e ci portava via.” “E poi?” “Poi mi sono svegliata e sono corsa a casa.” “Non credevo che avessi ancora una fantasia tanto fervida, sorellina. Forse non sei tanto matura come vuoi farci credere!” Disse sorridendo Emilia dopo aver ascoltato il racconto di Elia. “Basta! Non voglio parlarne più!” La ragazza si girò su un lato e provò a spegnere il cervello.

Era ormai notte fonda ed Elia non riusciva a dormire. L’uomo alato e la vecchia signora si erano insinuati nella sua mente e la ragazza non trovava il modo di cacciarli via. “Emilia? Emilia, dormi?” “Ora non più, cosa c’è?” rispose la sorella maggiore con un filo di voce. “Riguardo al sogno, pensavo: e se domani chiedessi alla vecchia Sura?” “Ancora pensi a quel sogno? Dormi! E non pronunciare nemmeno il nome di quell’strega! Lei adora falsi dei e sostiene, senza vergogna, di poter vedere il futuro degli uomini. Sai che il potere della chiaroveggenza è dato dal demonio, vero? Prega nostro signore piuttosto!” Elia non era solita pregare, le sembrava di parlare da sola ed ogni volta che provava a raccontare qualcosa al vescovo del villaggio, o a qualche suo legato, questo cercava sempre il modo per estorcerle quante più monete possibili, non curandosi affatto delle angosce che tormentavano la giovane. Elia passò la notte ad occhi chiusi ma più sveglia che mai. Al sorgere del sole decise che non riusciva più a stare stesa e uscì di casa mentre Emilia e sua madre erano ancora immerse tra le braccia di Morfeo. Camminò a lungo attraverso tutto il villaggio, cercava di distrarsi provando ad avvicinare i gatti che incontrava lungo il suo tragitto. Seguendo uno di questi, era arrivata, senza nemmeno accorgersene, al confine meridionale del villaggio. A separarla da un fittissimo bosco vi era solo un lungo sentiero al termine del quale era situata la capanna della vecchia Sura. Elia non riusciva a comprendere il motivo per cui quella anziana signora fosse tanto invisa dai compaesani. Era ovvio che risultasse molto impopolare pregare ancora gli antichi dei ma in fondo quella donna non faceva del male a nessuno, aveva semplicemente scelto di credere alle stesse divinità cui erano devoti i suoi antenati. Restò a fissare il sentiero per qualche minuto, in preda all’indecisione più totale: la tentazione di far visita alla vecchietta era forte ma se qualcuno l’avesse vista non l’avrebbe passata di certo liscia. Avrebbero potuto etichettarla come strega ed a quel punto la sua reputazione e quella della sua famiglia sarebbero state irrimediabilmente rovinate. Dopo aver controllato di non essere osservata iniziò a correre lungo il sentiero. Dopo la prima curva già riusciva a vedere la capanna in lontananza. Quando si avvicinò notò che buona parte del legno con cui era costruita era marcio e già iniziava a sentire un cattivo odore di decomposizione. Si fermò a circa dieci metri dal cortile e valutò se fosse davvero sicura delle sue intenzioni. Dopo aver preso coraggio, decise che avrebbe parlato all’anziana signora ed avanzò con passo deciso verso la porta. Bussò due volte, nessuna risposta. Decise di sbirciare dalla finestra che affacciava sul cortile: la casa sembrava vuota. Restò a pensare se fosse il caso di entrare, forse Sura si era sentita male, forse aveva bisogno d’aiuto. Mentre era immersa nei suoi pensieri sentì dei passi alle sue spalle. Non fece nemmeno in tempo a girarsi che un bastone la colpì sul capo. “Cosa vuoi da casa mia? Non c’è nulla da rubare qui da molto tempo ormai! Vattene o sarò costretta a farti ancora più male!” Elia restò per un paio di secondi a fissare la donna ed a massaggiare il bernoccolo che le era appena spuntato sulla testa. Sura le sembrò una normalissima donna anziana, forse un po’ troppo magra e un po’ troppo bassa, ma nulla di mostruoso. Dopo aver riorganizzato i pensieri riuscì a parlare. “No, ferma. Non voglio farti del male. Abito nel villaggio. Sono venuta a farti visita.” “Tu sei venuta a fare visita a me? Non prendiamoci in giro ragazzina.” “Lo giuro Sura, ho bisogno del tuo aiuto!” “E non hai paura di cosa potrebbero dire di te al villaggio?” “Se sapessi cosa penso io di quella gente, non mi faresti affatto questa domanda. Ti prego, posso entrare?” Il bastone di Sura toccò terra e tornò a svolgere la sua tradizionale mansione di supporto. L’anziana signora non disse una parola ed entrò in casa lasciando la porta aperta dietro di sé. Elia la seguì un po’ intimidita. “Siediti dove ti pare ragazzina. Perdona la scortesia ma non posso offrirti nulla né da mangiare né da bere.” “Non sono qui per questo.” “Cosa vuoi allora?” “Voglio parlarti di un sogno…” La ragazza narrò minuziosamente il suo sogno alla vecchia che la ascoltava con attenzione senza proferire parola. Quando il racconto fu finito, Sura la guardò dritta negli occhi e disse: “Fai bene ad essere terrorizzata, figliola. Gli Dei ti hanno concesso di conoscere il futuro e, credimi, forse era meglio che lo tenessero celato.” “Scherzi forse? Come puoi dire una cosa del genere? Nel sogno io e mia sorella eravamo delle bambine!” “Gli dei non inviano mai visioni chiare, cara mia. In quel sogno eri una bambina perché sei impotente davanti ai terribili eventi che stanno per accadere. L’uomo alato che ha decapitato tuo padre è Tanato, portatore di morte, e la donna che ti ha preso per mano è Limos, i suoi doni sono fame e carestia.” Dopo aver interpretato il sogno della giovane, Sura bruciò delle erbe in una scodella di rame ed ispirò i fumi che ne fuoriuscirono. Dopo pochi secondi i suoi occhi divennero opachi tanto che non vi si riuscisse più a comprendere dove finisse la sclera ed iniziasse l’iride. La donna restò in stato in uno stato di trance per qualche minuto dopodiché esalò un profondo sospiro e rinvenne. Guardo la giovane con gli occhi sgranati come se avesse visto Lucifero in persona. Non disse una parola, si alzò e raggiunse il mobile adiacente il focolaio, lo aprì ed estrasse un coltello, si girò verso la ragazza, e le disse: “Scappa finché puoi.” Si portò il coltello alla gola e con un gesto secco si tranciò la carotide. Il suo corpo esanime cadde a terra coprendo la pozza di sangue sul pavimento. Elia guardò la scena senza riuscire a pronunciare nemmeno una parola. In realtà non riusciva nemmeno a formulare un pensiero che avesse senso compiuto. Restò immobile a fissare il cadavere della vecchia. Dopo qualche minuto la porta si aprì. Era Emilia. “Sapevo che ti avrei trovata qui! Mi dici cosa ti passa per la tes… Oh cristo Elia, cosa è successo qui?” Ancora sotto shock la giovane raccontò alla sorella maggiore a cosa aveva assistito. “Mio Dio, Elia. Ti avevo detto che non saresti dovuta venire qui! Svelta, torniamo di corsa al villaggio. Nessuno dovrà sapere cosa è accaduto oggi.” “No, aspetta. Non la vorrai mica lasciare alla mercé dei ratti?” “Cosa? Intendi seppellirla?” “No, la voglio bruciare. Lei avrebbe voluto così. Ti prego, Emilia, fallo per me.” Le sorelle impiegarono circa tre ore a raccogliere la legna e a preparare una pira per il cadavere della vecchia. Per fortuna fu facile trasportare il leggero corpo della donna che dopo aver disposto sul cumulo di legna, le ragazze coprirono con i fiori del bosco. Elia non conosceva quali parole pronunciassero i pagani durante i funerali e sapeva che se avesse pregato Dio di accogliere la sua anima nei cieli, lo spirito di Sura non l’avrebbe mai perdonata, quindi preferì tacere mentre guardava il corpo della vecchia carbonizzarsi. Una volta terminata la cerimonia le ragazze si avviarono verso il villaggio senza parlarsi né guardarsi. Arrivati a metà del sentiero avvertirono un pungente odore di fumo provenire da nord. “Il villaggio sta bruciando! La mamma è lì! Corri Elia!” Le ragazze corsero più veloce che poterono verso il villaggio. Una volta giunte a destinazione si resero conto che nulla era come lo ricordavano. Il villaggio era sparito, al suo posto non vi era altro che cenere e macerie. I cadaveri erano disseminati sul terreno come chicchi di grano lanciati alle galline e l’unico rumore che riuscivano a sentire era quello del vento. “Dobbiamo trovare nostra madre!” Disse Elia. Raggiunsero il più in fretta possibile la loro casa. La porta era sfondata e la casa completamente bruciata dall’interno. Non trovarono Letizia, soltanto i resti di un corpo divenuto quasi del tutto cenere. Emilia cadde sulle proprie ginocchia in preda alla disperazione. Le lacrime rigavano il suo viso, non riusciva ad emettere alcun suono. Quella vista le aveva tolto l’anima dal corpo. Elia uscì di casa con lo sguardo perso nel vuoto. Non riusciva a razionalizzare ciò che vedeva. I suoi occhi si posarono sulla statua della Santa Croce al centro del villaggio. Su di essa avevano inciso “L’impero non perdona il tradimento”. La giovane pensò: “Il sogno, il sogno! Tanato è arrivato. Non resta che aspettare Limos.”.

“Ancora erbacce. Non ne posso più!” “Accontentati Elia e non disprezzare erbacce, sono loro che ci hanno tenute in vita per questi sei mesi.” “Questa la chiami vita? Siamo sole, immerse nel nulla e non abbiamo altro da mangiare che erbe amare! Non ne posso più, Emilia. Andiamo via di qui!” “Per andare dove? La guerra spazza via i villaggi come un uragano. Questo è l’unico posto sicuro.”

Dopo la distruzione del villaggio, le ragazze avevano raggiunto la capanna della vecchia Sura e si erano stabilite lì. Avevano provato a coltivare ma il terreno si era rivelato sterile. Il bosco sembrava essere deserto, in sei mesi erano riuscite a cacciare soltanto un cervo, nient’altro. Ormai anche solo raccogliere le erbacce era divenuto un compito arduo, le energie delle ragazze erano sempre di meno e quasi non riuscivano più a reggersi in piedi.

Quasi al calar del sole sentirono bussare alla porta. Scattarono in piedi e cercarono qualcosa di tagliente per difendersi. Dopo aver impugnato un coltello a testa le donne si precipitarono alla finestra per vedere chi si trovava fuori la loro porta. Videro un soldato, era solo, a parte il suo cavallo. Emilia guardò sua sorella negli occhi e si avviò verso la porta. “Cosa fai? Dove vai?” “Sta zitta idiota! Lascia parlare me” Emilia aprì la porta nascondendo la lama dentro la manica della sua veste. Il soldato non sembrava avere cattive intenzioni. “Salve, scusate il disturbo ragazze, mi chiamo Salviano e credo di essermi perso. Devo raggiungere la colonia di Rimini ma il bosco mi ha disorientato e non so che direzione prendere.” “Nessun disturbo, entra te ne prego. Devi essere stanco per il viaggio, perché non ti riposi un po’ qui con noi? Dopo la sosta ti indicheremo la strada.” “Mi dispiace declinare l’invito, credimi, ma è importante che raggiunga al più presto Rimini. Devo consegnare un importante messaggio.” “Ti prego, resta. Non vediamo un uomo da tanto tempo ormai. Se andassi via potresti pentirtene!” La voce di Emilia si fece più calda ed intensa. Il soldato sorrise vistosamente e attraversò la soglia. “Lascia che ti tolga l’armatura, deve pesare tanto.” Emilia si mise alle spalle del soldato e dopo aver slacciato la corazza di cuoio gli baciò intensamente il collo. Salviano sentì un piacevole brivido e si rilassò concedendo alla donna una porzione di collo più ampia. Intanto Elia guardava in silenzio e con stupore seguiva i movimenti della sorella. Emilia baciò nuovamente il collo del soldato che iniziò a gemere, estrasse la lama dalla manica e gli tagliò la gola da orecchio a orecchio. “Emilia sei impazzita?” Perché l’hai fatto?” “E lo chiedi pure, sorellina? Per fame, perché sennò?! Non avevi detto di essere stanca di mangiare erbacce? Ora potremo mangiare il cavallo!” “E quando sarà finito?” “Mangeremo il cavaliere.


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